domenica 23 febbraio 2014

Essere nel mondo



(...) Sia il singolo individuo sia l'umanità nel suo complesso, e in una determinata fase della sua esistenza, sperimentano un "essere nel mondo" le cui connotazioni fondamentali non sono state da essi scelte (...)

(...) Da qui deriva la problematicità che caratterizza, come si diceva, la "condizione data" per ciascuno di noi, anche per il più "fortunato", poiché tutti ci troviamo immersi in campi di esperienza - familiare, sociale, naturale, culturale - inevitabilmente contrassegnati da problemi, come ci dimostrano le analisi rivolte a indagare la storia dell'umanità o delle diverse culture, delle istituzioni familiari o dell'ambiente naturale, le biografie o le autobiografie. Noi stessi se, per un periodo o per tutta la vita, siamo privi di capacità critiche e di autoconsapevolezza e ci identifichiamo pertanto con i nostri condizionamenti (biologici, psicologici, culturali), che subiamo passivamente, esprimiamo sperimentiamo problematicità, a causa dei quozienti di opacità e di inautenticità che caratterizza i rapporti con noi, con gli altri e con il mondo.
Anziché realizzare incontro, arricchimento e integrazione, quel tipo di rapporto tende a svolgersi all'insegna della contrapposizione - ad esempio tra il cognitivo e l'emozionale, nell'esperienza intrasoggettiva - della conflittualità violenta o della dipendenza acritica, nel rapporto con l'altro o con gli altri; del pregiudizio e della chiusura difensiva, o della lotta, nei confronti di altre culture. Tutto questo, dicevo, può costituire la rappresentazione di noi stessi immersi inconsapevolmente nella "condizione data": per un periodo, oppure per tutta la vita, se di quei condizionamenti non ci accorgiamo o se li consideriamo nostre caratteristiche legittime, "legittimate" dalla loro diffusione e dall'accettazione che riscuotono nel contesto cui apparteniamo. Ed ecco affacciarsi il motivo della progettualità esistenziale. Cos'è infatti che può innescare il cambiamento nel nostro stile esistenziale, sostituendo al repertorio della "passività che subisce" quello del "protagonismo che sceglie", se non l'impegno a progettare il senso generale della nostra esistenza e gli itinerari da percorrere per ogni suo ambito specifico?
Il soggetto che subisce "la condizione data" può anche dedicarsi, giorno per giorno e con la laboriosa costanza cui accennava Armando, alla costruzione della sua esistenza o, almeno di alcuni suoi "comparti" fondamentali - professione, rapporti sociali e familiari ... - ma lo farà seguendo strade che non ha scelto, che qualcun altro ha scelto per lui in base a propri criteri. Dunque, nella migliore delle ipotesi, escludendo la cinica volontà di manipolare, di indurre bisogni e/o consenso, di uniformare il pensiero, saranno criteri che corrispondo a motivazioni altrui, che non traggono origine né da sogni né da obiettivi personali, anche perché il soggetto in questione (e mi sembra l'aspetto più drammatico) non differenziandosi dal contesto finisce per non poter più distinguere i "propri" sogni e obiettivi da quelli che sono "in circolazione". Ignaro degli "occhiali" attraverso cui conosce, interpreta e valuta una realtà "ingenuamente" ritenuta oggettiva, senza mai mettere in dubbio la funzionalità "di lenti" che scambia per i propri occhi; analfabeta in ordine a emozioni e sentimenti con cui non entra in comunicazione, ma che tende a negare o a rimuovere, agevolato in questo dal "rumore" di fondo che l'accompagna e che attribuisce la coloritura emotiva "adeguata" ad ogni evento e ad ogni occasione, seconda la stereotipia del conformismo, il soggetto "a-progettuale" studia, lavora, si sposa, vota (o si astiene!), va in vacanza, diventa genitore e, sempre, mette in scena un copione che qualcun altro ha firmato.
Ecco il perchè dell'obiezione che resiste da vent'anni: si può essere felici di qualcosa che abbiamo raggiunto in forza di un nostro desiderio-progetto, ma adeguandoci a un repertorio che non ci appartiene? Anche se l'avremo costruita mattone su mattone come bravi muratori, sarà una felicità destinata ad assomigliare a quella che Nietzsche definisce "degli ultimi uomini" (che dovrebbero tramontare e lasciare spazio a un nuovo tipo di umanità), all'insegna dell'inautenticità esistenziale: "noi abbiamo inventato la felicità, dicono gli ultimi uomini, e strizzano l'occhio..." 





...alla "destinazione prescelta"

La problematicità va riconosciuta, indagata nelle sue articolazione per cogliere le informazioni che ci trasmette - su di noi e sui rapporti con gli altri e con il mondo - e che, altrimenti, potremmo non scoprire mai. Grazie a una paura che non si lascia zittire, o a un'ambivalenza che non riusciamo a sciogliere, possiamo imparare, a conoscere meglio le nostre motivazioni e resistenze, le nostre possibilità e i nostri limiti; così, nel rapporto con l'altro e con gli altri è, talvolta, attraverso l'esperienza faticosa del conflitto che trovano spazio per emergere esigenze profonde o radicali disaccordi, altrimenti destinati a tacere o a esprimersi solo attraverso le tortuosità violente dei litigi e delle reciproche disconferme. (...)
(tratto da " Educazione alla progettualità esistenziale" di Giovanni Maria Bertin e Mariagrazia Contini - pag. 11 - 13- 14)

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