giovedì 22 settembre 2016

Quasi quasi esco






(...) la vocazione più autentica di questa formazione (di questa formazione di sé) non la ritroviamo affatto dichiarata o messa in pratica nei luoghi che "insegnano", ma piuttosto in quelli che "interrogano", non nei luoghi che ci danno risposte, ma in quelli che fanno le domande.
In tutti quei luoghi cioè nei quali potremmo essere chiamati a esplorare la nostra vita, come se si trattasse proprio di un paesaggio;
a esplorare le foreste nelle quali ci siamo smarriti, i deserti nei quali ci siamo ritirati,
le isole sulle quali siamo naufragati, le forre nelle quali siamo precipitati, le colline e le montagne che abbiamo faticato e fatichiamo a valicare. E anche le piccole e grandi tempeste da cui siamo stati sorpresi, le piogge battenti che ci hanno costretto alla sosta e al riparo, e ogni altra sorta di "precipitazioni" , da quelle più noiose dell'autunno a quelle più disagevoli dell'inverno (dell'autunno e dell'inverno "del nostro scontento" potremo dire).
Le vicende e le vicissitudini della nostra vita dovremmo dunque osservarle e ascoltarle per quella loro "risonanza paesaggistica" che sa parlare al nostro mondo interiore (che sa essere il nostro mondo interiore): e per il semplice fatto che, in definitiva, noi non siamo altro che parte di quel paesaggio dal quale, se ce ne tiriamo fuori , non possiamo che incolpare noi stessi. (...)
(...) Bene la terza formazione dovrebbe mostrarsi altrettanto paradossale: come quell'istante in cui ci sentiamo improvvisamente catturati nello sguardo e nel sentimento e ciò che ci cattura diviene patrimonio dei nostri pensieri, o anche di un solo pensiero che di lì in poi desideriamo coltivare.
Così essa renderà vitale il nostro cammino attraverso il paesaggio dell'esistenza, sostenendo non solo quell'apprendere, ma piuttosto quel comprendere che ci farà fortunati vagabondi in ogni stagione dei nostri giorni. (...)
(dal libro Nel giardino di Jung di Gian Piero Quaglino e Augusto Romano Metafore vive)

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