mercoledì 22 agosto 2012

Lasciar fluire


Alcune persone importanti della mia vita, in quest'estate, sono partite per un lungo viaggio dalla destinazione a me sconosciuta, non so se si siano spostate in altri luoghi e dimensioni, che a nessuno è dato conoscere.
Sfuggiamo costantemente il pensiero della morte, come se non ci appartenesse, poi la scomparsa di alcuni affetti, ci richiama alla sua presenza.
Eppure la vita è costellata di continue morti, penso alla carta dei tarocchi che la raffigura, nei tarocchi la morte rappresenta il cambiamento, un cambiamento di stato, delle persone e delle cose, la trasformazione in altro, perchè come molti filosofi e pensatori hanno scritto, tutto si trasforma e nulla si distrugge.
Ci resta una profonda nostalgia per ciò che era ..per ciò che è stato, ma sappiamo (anche se lo neghiamo) che pensare di fermare un processo di questo genere, significherebbe al contrario relegarlo, fossilizzarlo a una morte sicura.
La vita è trasformazione continua, le stesse cellule nel nostro corpo muoiono e rinascono continuamente a nuova vita, una rigenerazione fatta di tante piccole morti perchè l'organismo possa continuare a crescere e non muoia nel vero senso della parola.
La morte è l'essenza della vita stessa, ma spesso ci rifiutiamo di riconoscerla in questo senso, di accettarla perchè crediamo sia la fine di tutto.
Qualsiasi separazione è una piccola morte, ma ci consola l'idea di ritrovarci dopo un po;
 con la morte di una persona cara, ci viene a mancare questa possibilità.
 Eppure...eppure tante volte siamo stati accanto a loro fisicamente e lontani anni luce con i pensieri e le azioni,  incapaci in certi momenti di entrare in empatia, di cogliere la loro anima e la nostra in profonda connessione.
Non voglio colpevolizzare questi momenti, che è normale e fisiologico che ci siano, è impossibile riuscire ad essere sempre presenti a se stessi e agli altri, quanto  capire,  come tendiamo a valutare a volte la presenza fisica e viceversa la sua assenza, in modo a volte troppo logico e poco intuitivo, in un ragionamento secondo il quale presenza fisica= vicinanza ..assenza=lontananza, mancanza perdita.
Il termine "impermanenza" è un termine che compare nelle filosofie orientali, ad indicare come tutto muti continuamente e come al contrario spesso la nostra paura al cambiamento ci porti a una sorta di attaccamento a cose e persone, e a pensarle e desiderarle imutabili.
La paura della morte in sostanza è la paura del cambiamento e la paura di vivere, ma se il mondo, la nostra vita è un continuo fluire da uno stato ad un altro, come possiamo pensare di rendere e volere che le cose siano imutabili?


"Il meditatore si sofferma ad osservare il fenomeno del sorgere... si sofferma ad osservare il fenomeno del passare... si sofferma ad osservare il fenomeno del sorgere e passare." (Buddha)






"La morte non è né il termine della vita , nè il principio dell'immortalità; essa è il seguito e la trasformazione della vita ".
 (Eliphas Levi )

Per chi volesse approfondire il tema dell'Impermanenza suggerisco questi link:

6 commenti:

Sileno ha detto...

Con gli anni che incalzano, quello del viaggio misterioso è un pensiero che è sempre più ricorrente, ma non oppressivo, è qualcosa di ineluttabile; da non credente pensavo che tanti anni di terrorismo sull' "Aldilà" potessero avere qualche effetto sul mio comportamento, non è così e serenamente guardo avvicinare la partenza.

Luigina ha detto...

Io al contrario sono credente, ma non per questo vivo nel paura della mia morte, anche se dicono che quando si piange per la morte di qualcuno in realtà si piange per la paura della propria, ma se sapessi che la mia morte potesse far ritornare il sorriso e la speranza sul viso di tante persone care che sembrano averla persa, sarei felice di donarla, perché sono sicura che da qualche parte poi ci reincontreremo. Ti abbraccio cara amica e appena avrò metabolizzato l'ultimo lutto e l'ultima preoccupazione per la vita altrui, leggerò volentieri gli approfondimenti a queste tue riflessioni sulla morte come essenza della vita che ci accomunano ancora una volta

Carlo Giordani ha detto...

Ciao Janas.
Ho sofferto un po' di abbandoni, lo sai.
Mio figlio Francesco sarà il mio primo incontro, di là.
Poi i miei genitori, i miei amici meno fortunati.
La morte non mi fa paura, ma forse un po' sì, è come lanciarsi dalle montagne russe, sai che tanto va tutto bene, ma non lo sai finché non hai di nuovo i piedi per terra.
Ecco, penso sia così. Montagne russe, un po' di strizza e poi dici "che scemo sono stato".
Intanto, finché sono qui, continuo a catturare i suoni del mondo :)

guglielmo ha detto...

Le "partenze" sono una costante della vita, ma non per questo ci abituiamo (come anche tu ricordavi). Ma la chiave anche della nostra vita sta tutta lì , come ricorda l'ultima poesia di Borges.

nucci massimo ha detto...

Non lo so se ho paura di morire
o mi scoccia morire
Francamente sto benissimo in vita
e non ho nessuna voglia di lasciarla.
Qualche giorno dopo l'uscita dalla rianimazione
il dottore mi ha detto che per tutto il tempo non ho fatto altro che dire:
"Dottore fammi fare un altro giro, poi torno e son pronto,
ma adesso fammi fare un altro giro in moto"
Sono attaccato a questa vita anche se a volte non mi piace
ma credo che il non piacermi di certe situazioni
faccia parte del piacere della vita.
Ho paura, davvero paura di arrivare alla fine soffrendo
perché temo che la malattia e la sofferenza possano togliermi dignità.
Arriverò anche io alla fine e poi sarò solo nel ricordo di qualcuno.
Finché ci sarò.
Forse è per questo che scrivo spesso,
per prolungare il ricordo.



JANAS ha detto...

cari amici, vi rispondo non con mie parole ma con un bellissimo articolo che ieri ho trovato in internet e che trovo molto bello perchè riporta l'attenzione anche dal punto di vista sociale:

L’impermanenza ci salva
di Giorgio Boratto - settembre 2006

Sono dell’idea che niente succeda mai veramente per caso, ed ogni cosa prova che ognuno procede per diventare ciò che è: questo è il senso profondo della nostra vita. Per questo, nel corso della vita, dobbiamo fare i conti con molte cose; dobbiamo misurarci con meccanismi mentali e comportamentali che non ci appartengono, per realizzare quel miracolo di unicità e irripetibilità che ognuno rappresenta.
Ma poi, perché devo partecipare al tormentato percorso di crescita spirituale, per la loro realizzazione, di altri individui? Perché si inseriscono nei miei pensieri e con meccanismi proiettivi aizzano odi, rifiuti, paure e vendette? Potrei in una parola semplice, "sbattermene"; potrei ignorare queste persone… insomma, è chiaro che io vivo in una comunità, in un "condominio" molto arruffato, ma è giusto che i "condomini" mi rigettino addosso le loro idiosincrasie per sentirsi meglio? Loro?

Ma allora queste persone, come interferiscono con la nostra vita? Con la nostra crescita? Bisognerebbe interrogarci sulla teoria che ci vede come un unico organismo collettivo. Tenuto conto che facciamo tutti parte di un Tutto, io piccola cellula, vorrei mantenermi sano in questo organismo in disfacimento; vorrei che la trasformazione diventasse trascendenza: che si potesse attuare una metamorfosi che ci porti ad una umanità nuova. E’ possibile?
Penso di sì: accettando l’impermanenza come principio base della nostra vita, sapendo che possiamo fluire e muoverci con le circostanze eternamente mutevoli della vita. Penso che sia possibile essere "nel mondo, ma non del mondo"; con la consapevolezza che siamo disponibili a "morire" al momento presente, lasciando che gli altri "muoiano" intorno a noi. Essere disposti a "morire" qui, vuol dire essere disposti ad affrontare il fatto che il tempo e gli altri cambiano, se ne vanno, crescono non riuscendo mai del tutto ad essere all’altezza delle nostre aspettative.

Ecco che anche "loro", quelli che ci "importunano", allora trovano una funzione: misurano la nostra quantità di accettazione dell’impermanenza. Dovremo essere poi in grado noi di ritrasmetterla a loro. L’impermanenza è quello che ci salva.

Giorgio Boratto
www.boratto.it
http://boratto.blogspot.com/